Full Moon riunisce sette degli otto danzatori di Omma per proseguire, ampliare e approfondire l’esplorazione iniziata con quello spettacolo. E Josef Nadj, danzatore e coreografo ungherese, ha scelto di unirsi a loro sul palco. La luna del titolo si riferisce al cosmo, alla formazione dell’universo, al processo che precede e anticipa la comparsa della vita: associata al rinnovamento e alla trasformazione, con il suo ciclo di 28 giorni e le sue quattro fasi, dona alla coreografia una sorta di struttura ritmica, una griglia compositiva. Ma in questa creazione, la ricerca di Nadj si combina anche con un altro percorso, con un altro territorio, il mondo del jazz afroamericano, dalle sue forme originali – blues e spiritual – e dalle sue mutazioni, fino ai giorni nostri: un genere musicale di cui i bianchi si sono appropriati e la cui componente danzante è quasi completamente scomparsa. Il suo obiettivo era quello di introdurre i danzatori a questa musica, o meglio a queste musiche, che erano loro estranee, sebbene in un certo senso affondassero le loro radici nel continente africano.
Insieme ai danzatori, si è impegnato ad analizzare le forme specifiche di queste musiche, a estrarne lo spirito e il pensiero, e a cercare una danza che corrispondesse a esse. Nata da questa “opera affascinante”, Full Moon rende omaggio implicito ad alcuni eminenti rappresentanti di questo movimento: Charles Mingus, Cecil Taylor, Anthony Braxton e l’Art Ensemble di Chicago.
Ma Full Moon fa appello anche a un’altra figura, quella della marionetta, che, come la maschera, attraversa tutta l’opera di Josef Nadj. Questa figura, infatti, è ricomparsa nel processo creativo di quest’opera. Il motivo per cui essa e la maschera ritornano qui è che entrambe sono molto presenti nelle culture africane, ma non solo. Concepita come il punto di congiunzione o di svolta tra l’inerte e il vivente, l’animato e l’inanimato, essa possiede un’altra dimensione, un altro significato rispetto al corpo “vivente”, al quale fornisce una sorta di contrappunto. In questo senso, la presenza della marionetta, dell'”uomo burattinaio” accanto al vivente, rappresenta per lui il fatto che una creazione non è mai perfetta e che impone la necessità di accettare il gioco, anche nella sua imperfezione.