Il testo I manoscritti del diluvio di Bouchard denuncia con poetica e malinconica consapevolezza il disarmante e crudo disagio senile dinanzi alla propria immagine riflessa, quando i desideri, la voglia di vivere, amare, condividere e progettare ancora, sono intrappolati dentro un corpo in disfacimento.
Un’alluvione, un gruppo di anziani intenti a ricostruire i relitti di una memoria collettiva che le giovani generazioni vogliono ignorare. Ciascuno di essi si assume la responsabilità di ricordare e, dunque, riscrivere a mano, in parte o per intero, i libri distrutti dall’acqua nella biblioteca durante il disastro. “Siamo noi stessi superstiti di un recente diluvio, scrive il regista nelle sue note, un diluvio che ha messo, purtroppo, in evidenza i buchi neri sociali ed etici di questa società dell’apparenza, dove il valore della vita umana corrisponde esclusivamente alla sua capacità di produrre. La cinica considerazione degli anziani durante questa pandemia, ne è certamente un tragico indicatore.
Gli anziani, più comunemente definiti in senso dispregiativo “vecchi”, sono ai margini di questa giovanilistica società dell’apparenza; politicamente rappresentano il peso scomodo e improduttivo della memoria di sé, dinanzi all’avanzare strumentale di quel revisionismo storico che è, invece, l’arte machiavellica della confusione e della mistificazione.
Dei “vecchi” fanno comodo le pensioni che, risolvendo i problemi economici di tante famiglie, sopperiscono ai vuoti dello stato sociale, ma il tesoro della terza età in termini di vissuto, l’esperienza degli anziani, quella, cioè, che un tempo li rendeva preziosi e saggi, oggi sembra non avere più senso.
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